Vita e Amore

Vita. Vita è prepotente, non serve farle spazio, lo prende da sè. Non occorre aprirle la porta, la spalanca da sola. Vita è una valigia. A volte una zavorra inamovibile, a volte una sacca da mare con giusto le ciabatte e l’asciugamano per correre a fare il bagno. A volte la tua Vita se ne va dentro una valigia.

Amore invece è così fragile. Ha mille esigenze. Va coccolato, coltivato, nutrito, spolverato, alimentato, rispettato. Amore non grida le sue esigenze, ma richiede delicatamente attenzioni. Un attimo prima è lì, caldo e palpitante, un attimo dopo non me resta che il ricordo.

Vita viaggia bene anche da sola. Per Amore serve essere in due.

Vita e Amore possono percorrere la stessa strada, ma servono Neuroni e Cuore per non farli litigare. Vita corre e consuma, Amore ha bisogno di viaggiare piano e di riposare. Vita, altre volte, non ce la fa ad andare avanti e allora è Amore che delicatamente la prende sottobraccio.

Neuroni e Cuore cercano di spiegare a Vita e Amore che c’è spazio e tempo per entrambi. Vita, ogni tanto, deve trovare tempo per Amore e Amore, ogni tanto, deve lasciare che Vita vada più veloce. Vita, ogni tanto, deve lasciare che sia Amore a guidare e Amore, ogni tanto, deve lasciare che Vita prosegua da sola.

É un gioco di equilibri e, si sa, gli equilibrismi son giusto per i funamboli. Richiedono mestiere, costanza, impegno. E Neuroni e Cuore, invece, spesso si distraggono. Accade così che Vita prenda baldanzosa il sopravvento. Salta, balla, gira, tira, spinge. Il tempo passa e Vita non se rende conto, presa com’è nelle sue mille attività. E accade così che Amore muore.

Il giorno della marmotta

Lo hanno chiuso lì dentro da stamattina alle 8. Ci sono altre persone con lui, ha chiesto “cosa ci facciamo qui”, ma gli hanno risposto che quello che comanda oggi non c’è. Forse verrà domani, forse più avanti.

Gli hanno fatto togliere la giacca e la sciarpa e lo hanno fatto sedere. È qui ad aspettare. Ha fatto due passi su e giù per la stanza. Anche gli altri, di tanto in tanto, si alzano. Scambiano due parole, ma lui non li capisce sempre, crede parlino un’altra lingua, anche se a tratti simile alla sua.

A mezzogiorno suona una sirena che squarcia il brusio del corridoio; immagina indichi la distribuzione del pasto, infatti tutti si incamminano verso il locale mensa.

Poi, terminato il pranzo, tutti di nuovo seduti in questa stanza.

Il tempo scorre a piccoli passi.

Il sole inizia tramontare, c’è sempre meno luce, i visi dei suoi compagni sono sempre più simili a quelli di spettri pallidi, smunti, allucinati. Lo spaventa il pensiero che il suo volto possa avere la stessa espressione spenta e opaca.

No, non era in prigione. Ma doveva fare uno sforzo per ricordarsi che era in ufficio.

#fantasia #nessunriferimentoacoseluoghipersonerealmenteesistite #raccontoinventato

#quasinano

Labirinto

L’aveva detto che lì non ci voleva andare. L’aveva gridato, perfino. Sbattendo i pugni, addirittura. E invece si era ritrovata proprio lì. Si era lasciata condurre.
Non c’era stata una grande consapevolezza in quel viaggio. O forse sì e aveva lasciato fare. Non aveva più troppa importanza.
Quel che sentiva adesso però, era rabbia. Verso se stessa per essersi lasciata trascinare, verso di lui per non essersi fermato prima, per non aver cambiato strada.
Lei lì non ci voleva proprio stare. Non le piaceva nulla di quel luogo. Non riconosceva i colori, gli odori, nemmeno le parole. Parevano quelle di una lingua straniera.
Avrebbe voluto tornare indietro, ma aveva perso il senso dell’orientamento. Ogni strada pareva un vicolo cieco. Un labirinto in cui trovava solo se stessa. E nessun altro.