La verità

Chi mi conosce sa quanto La Verità sia uno dei miei chiodi fissi.

Esiste una verità con le minuscole e La Verità con le maiuscole.

La verità non è un valore assoluto ed indispensabile. Non sempre. Ci mancherebbe. Ci sono milioni di sfumature della verità e tutte altrettanto degne di essere considerate vere. Filtriamo la verità attraverso la nostra esperienza, i valori della società in cui viviamo, i modelli che abbiamo assorbito da bambini e cambiando gli occhi che guardano, muta inevitabilmente il vero davanti allo sguardo.

Ma è altrettanto certo che a volte La Verità esiste ed è indispensabile lottare per farla riconoscere universalmente.

In alcuni casi, infatti, non c’è spazio per la mia visione contrapposta alla tua. Esiste solo ciò che è VERO. Oggettivamente vero. E nessuna lettura distorta da odio o amore, ignoranza, passione o rabbia, paura o vendetta potrà modificarne l’essenza.

Chi mi conosce sa anche che sono una persona che non crede in nulla. Non credo alle scie chimiche, agli angeli, tantomeno in dio. Non ho bisogno di credere per essere quello che sono.

E quello che sono oggi ha vinto.

Progetto arte sul soffitto

Prima Installazione

SCARPE

Variante #1

Soffitto interamente coperto da ogni tipo di scarpe maschili e femminili incollate dal lato della suola. Ballerine, sneakers, anfibi, ciabatte, pumps, mocassini. Tutti i colori.

Variante #2

Serpentina di scarpe gialle col tacco a spillo su soffitto nero.

Variante #3

Bolla di anfibi neri e verde militare sporchi di fango incollati su soffitto blu scuro.

Variante #4

Scarpe col tacco a spillo rosse di lacca incollate a formare una grossa croce all’angolo a destra su soffitto dorato.

Variante #5

Scarpetta danza classica da punta dorata. Installata su un perno appeso al soffitto che la fa roteare a ritmi diversi a seconda della musica. Soffitto in piastrelle bianche e nere quadrate, lato 10 cm. Luci stroboscopiche.

Bipbip

Mi sto affezionando al bipbip delle casse del supermercato sotto casa. Lo sento anche con le finestre chiuse.

Vita che scorre sopra la mia. Vita che continua, nonostante. Fame e sete da soddisfare.

Cene da preparare con amore per i bambini. Cene in fretta che tanto non ti interessa. Cene venute male perché non sai cucinare. Cene da scongelare perché non hai tempo. Cene da soli. Col bipbip delle casse in sottofondo.

#quasinano 

C’era una volta un uomo. Era molto basso. Non così basso da rientrare nella categoria dei nani, ma nemmeno alto a sufficienza per rientrare a pieno titolo nella categoria dei normalmente alti. Era davvero basso. Piccolo. Pure sgraziato. Tutto era disarmonico in lui. Sproporzionato. Le sue orecchie, ad esempio, erano enormi. Quasi che con l’udito potesse sopperire alla limitatezza dell’orizzonte del suo sguardo. E infatti ci sentiva benissimo. Il suo era un udito sopraffino, in grado di percepire i più lievi fruscii, le eco più distanti, i borbottii più soffocati. 
Aveva inoltre una passione ardente per la cultura militare. Era ossessionato in particolare dal secondo conflitto mondiale. Ne conosceva tutte le battaglie, i nomi dei generali, il numero di proiettili sparati, il contenuto dei dispacci segreti. Prima di addormentarsi recitava a memoria i nomi degli 8.500 membri delle SS naziste che prestarono servizio come aguzzini nel campo di Auschwitz.
Aveva cercato di arruolarsi. Era l’unica cosa che desiderasse davvero fare, ma i suoi limiti fisici non gli avevano consentito di superare i test di ammissione. 
Era incattivito e solo.

La vita, però, spesso riserva a questi personaggi alla deriva una precisa collocazione sfruttandone oltre alle peculiarità, la rabbia che accompagna la loro frustrazione.
Divenne un delatore per professione.
C’è sempre qualcuno disposto a pagare un mucchio di soldi pur di violare la vita altrui. Certo, all’epoca dei social network potrebbe sembrare demodè il ruolo del ficcanaso, ma è pur vero che un occhio e un’orecchia in più fanno sempre comodo. 
Trascorreva le sue giornate pedinando, nascondendosi, ascoltando con quelle orecchie enormi. Il padrone gli faceva sapere dove e chi doveva spiare. E poi, a casa, alla sera, trascriveva i dialoghi a cui aveva assistito. Non sempre ricordava tutto; a volte colmava le lacune della memoria con la fantasia, ma non gli pareva di fare alcunché di male. A lui sembravano solo storie prive di ogni interesse. 
Aveva dei quaderni neri a righe, tutti uguali. Li aveva numerati e datati. 

Quando erano pieni li consegnava al suo padrone, in un ufficio di vetro trasparente al decimo e ultimo piano di una palazzina anonima e recente. Non aveva un’idea precisa di come quelle informazioni venissero utilizzate, ma per ogni quaderno riceveva un bonifico di cinquemila euro. 
Capitava che qualche giorno dopo la consegna di un quaderno, leggesse sul giornale di suicidi improvvisi ed inaspettati o di licenziamenti in tronco proprio delle persone che aveva ricevuto incarico di spiare. 
Dopo circa un anno dall’inizio di questa bizzarra attività, il quasi nano dalle orecchie enormi fu trovato morto, il cadavere privo dei padiglioni auricolari.
A nessuno interessò indagare approfonditamente su questo misterioso decesso. 
I nani muoiono sempre soli.

I nani dei miei racconti muoiono sempre.

Anche i nani soli muoiono sempre nei miei racconti.

Ogni riferimento a persone realmente esistite o fatti realmente accaduti è puramente casuale.