Lo scrutò facendogli scivolare addosso lo sguardo da sotto in su.
Lui aveva imparato che quel cipiglio equivaleva più o meno ad un: “che cazzo stai facendo?”.
Da qualche mese ormai lei andava avanti solo a occhiate e spallucce. Aveva smesso di parlare. Capitava che non avesse nemmeno voglia di ascoltare e allora si girava e con passi tranquilli cambiava stanza.
Semplicemente non parlava più. Annuiva, sorrideva, inclinava la testa ora a destra ora a sinistra, sollevava le spalle o faceva no con il dito, ma non una sillaba usciva più dalle sue labbra.
All’inizio lui aveva creduto che fosse una delle sue trovate per farlo innervosire. Una nuova crudele angheria, giusto per fargli dispetto. Ma dopo i primi tre giorni il silenzio si fece assordante. Iniziò a supplicarla di spiegargli che cosa stesse succedendo. Cercó di abbracciarla, di coccolarla, ma lai si scansava. Le chiese con le lacrime agli occhi di fargli capire qualcosa, poi si arrabbiò. Gli abbracci diventarono strattoni, le lacrime urla da sgolarsi, ma lei niente. Lo guardava di sbieco, completamente disinteressata ai suoi spettacoli.
Lui l’aveva portata sia da un otorino che da un neurologo per accertarsi che il problema non fosse di natura fisica. I medici l’avevano rassicurato. Tutto funzionava perfettamente: orecchie, cervello e corde vocali erano in perfetta salute. Sentiva benissimo e avrebbe potuto articolare tutte le note del pentagramma.
La diagnosi accrebbe in lui la frustrazione e la rabbia per questa assurda situazione. Non poteva più rifugiarsi nel pensiero che lei stesse male. Lei stava benissimo. Semplicemente non voleva più parlare.
La tormentava con domande, richieste, provocazioni; gliele ripeteva mille volte, gliele gridava nelle orecchie, ma lei restava impassibile.
Una sera, rincasando dall’ufficio, sentì fin dal pianerottolo una risata fragorosa. Gli si aprì il cuore, era lei, conosceva quel tintinnio cristallino con cui sorrideva al mondo. Era guarita!
In quel preciso istante, lei aprì la porta. Stava uscendo con una grossa borsa da viaggio. Lo scansò continuando a ridere. Aveva le lacrime agli occhi.
Lui la guardò allontanarsi. Spalancò con un calcio la porta rimasta socchiusa. Un grosso dito medio sulla parete d’ingresso dipinto con la vernice rossa gli avrebbe fatto compagnia fino all’arrivo dell’imbianchino.